venerdì 28 aprile 2017

Gorillaz - Humanz: recensione






Valutazione: 3½ su 5



I Gorillaz di Damon Albarn tornano dopo sette anni di inattività (durante i quali in realtà Albarn si è dedicato a diversi di progetti paralleli, arrivando a pubblicare una miriade di album dalle soundtrack Dr Dee e wonder.land, a The Magic Whip dei Blur ed Everyday Robots come solista), rilasciando Humanz, un album che ben poco ha da aggiungere ai precedenti.
Iniziamo subito col dire che Humanz non è un brutto album, anzi ancora una volta Albarn si dimostra superiore al piattume che avanza inesorabilmente in ambito artistico e specialmente musicale degli ultimi dieci anni, aggiungendo un nuovo e ricco lavoro al suo lungo repertorio quasi trentennale. Il nuovo disco dei Gorillaz è un disco variopinto ma uniforme, freschissimo ma dalle sonorità vintage, nuovo ma fedele. La varietà di questa raccolta di venti tracce (ventisei per la versione deluxe) può essere associata alla varietà di Plastic Beach, risultando coerente nell'opera di modernizzazione di stile e suoni iniziata appunto nel 2010. Come sempre può vantare di una varietà non irrilevante di "ospiti", tra cui vecchi maestri come De La Soul, o stelle nate da poco come Benjamin Clementine o D.R.A.M..


Dopo una intro di qualche secondo, la traccia di apertura è Ascension, una canzone hip hop cantata dal giovanissimo Vince Staples: un pezzo convincente, che scorre in modo del tutto giocoso nei suoi brevi ma validi due minuti e mezzo. Dopo l'orecchiabile Strobelite c'è il primo singolo rilasciato dalla band per promuovere l'album: Saturn Barz, e diciamo che Albarn e il jamaicano Popcaan avrebbero potuto fare molto di meglio: appetibile per un vasto pubblico (d'altronde i Gorillaz non hanno mai avuto la "presunzione" di spacciarsi per un gruppo di nicchia), ma forse troppo. La base misteriosa è ricca di piccoli suoni che la rendono interessante; tuttavia l'autotune suona a tratti irriverente e scialbo (sinceramente ho in mente davvero pochi casi in cui l' autotune sia stato utilizzato non in modo buono, ma almeno in modo che non rovini la canzone), e fa storcere un po’ il naso, lasciando l'amaro in bocca. Tralasciata questa e il quasi insignificante rap di Let Me Out, ci sono comunque molti punti eccellenti, come la cavalcata house funkeggiante di Strobelite, la piacevole atmosfera synth di Andromeda, o il ritmo malinconico di Sex Murder Party. Ciò che c’è di incredibile in Albarn è che riesca sempre a coprire decine di generi musicali diversi, fondendoli insieme, ma senza mai risultare barocco o arrogante, e questo è uno dei punti di maggiore forza dell’album; infatti si hanno tracce praticamente antitetiche come Momentz con la sua energica carica house, e Hallelujah Money che è invece sorretta dalla pacatezza vellutata gospel della voce di Clementine.


Purtroppo, però, l’album manca di ciò che caratterizzava tutti gli album precedenti (fatta eccezione di The Fall, che personalmente escluderei dalla lista degli album dei Gorillaz, in quanto sembra un lavoro a metà, anzi addirittura solo abbozzato): delle melodie davvero memorabili. Chiunque avrà canticchiato almeno una volta nella propria vita lavori colossali come Clint Eastwood o Feel Good Inc o anche Stylo, o almeno le avrà sentite trasmesse in tv o in radio centinaia di volte, fino quasi alla nausea, proprio dovutamente alle loro melodie e composizioni strettamente catchy (permettetemi questo inglesismo). Con questo non intendo dire che non sia un album assolutamente piacevole e scorrevole da ascoltare, ma sicuramente non ha canzoni che verranno ricordate da qui a cinque o dieci anni; alcune tra le tracce migliori, tra l’altro, come The Apprentice con la voce di Rag’n’bone man o Out of Body cantata da Kilo Kish, si trovano nel secondo disco, disponibile solo con l’aquisto della versione deluxe dell'album, il che le rende più difficilmente raggiungibili (ovviamente in un’epoca in cui l’informazione è alla portata di tutti, chiunque può ottenerle, ma in genere la pigrizia umana diffusa vince su qualsiasi pulsione della curiosità verso la cultura). Si può notare, quindi, come si abbia preferito concentrarsi sulla positiva e dirompente freschezza dei suoni, a discapito però dell’orecchiabilità e dell’originalità. 


Insomma un lavoro discreto e apprezzabile che ha i propri punti di forza, ma che non sono sufficienti da pensare anche solo lontanamente di raggiungere le meravigliose vette di Demon Days.


                                                                                        -Niccolò

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