sabato 29 aprile 2017

Breve storia del vampiro


Tutti conoscono queste famose e affascinanti creature non morte, ma pochi conoscono la loro origine e la loro vera immagine. Il vampiro più conosciuto è il Conte Dracula, protagonista del romanzo di Bram Stoker, ma, al contrario di quanto si pensi, non è questa la prima opera scritta dedicata al vampiro, bensì il racconto breve “Il vampiro” di John Polidori. Il racconto di Polidori è stato il primo ad introdurre la figura del vampiro che conosciamo oggi, ma già negli anni precedenti esistevano leggende su questa creatura.

CREDENZE EUROPEE

La maggior parte dei miti riguardanti questa misteriosa creatura nasce nel medioevo, periodo in cui cominciarono a circolare i cosiddetti rimedi anti-vampiro.Una delle prime testimonianze di attività di vampiri si ha nel 1672: in Croazia, un ex bracciante morì, ma i paesani del posto dichiararono che fosse tornato dal mondo dei morti, che avesse iniziato a bere sangue umano e che importunasse sessualmente le donne del villaggio. Il capo del villaggio ordinò che gli si piantasse un paletto nel cuore, ma, quando questo metodo non sembrò bastare, il corpo venne decapitato. L’Isteria di massa che infuriò in Europa nel XVII secolo, durò più di un secolo e molte epidemie vennero associate ad attacchi di vampiri; di conseguenza, numerose tombe vennero profanate per decapitare i corpi dei presunti non-morti. Il panico si dissolse quando l’imperatrice Maria Teresa d’Austria mandò il suo medico di fiducia a indagare su eventuali attività vampiresche; il medico concluse che i vampiri non esistevano e l'Imperatrice approvò una legge che proibiva l'apertura e la profanazione delle tombe e dei cadaveri. La figura del vampiro sopravvisse comunque nelle superstizioni locali. 

“IL VAMPIRO” DI POLIDORI

Si tratta di un racconto breve pubblicato nel 1819 che ebbe molto successo in Europa. Nel racconto, il vampiro si presenta come un aristocratico dotato di grande fascino, uno sguardo magnetico a cui nessuna donna può resistere e come grande conversatore. Il fatto di succhiare sangue, non è l’elemento principale del racconto: l’argomento principale è il sesso. Il vampiro è elegante, ben vestito e un maestro nell’arte della seduzione. Un elemento significativo è che il vampiro di Polidori è capace di vincere mentre nel romanzo di Stoker, pubblicato quasi un secolo dopo, il vampiro è sconfitto dalla forza della scienza e dal razionalismo.

“DRACULA” DI STOKER

Dracula è un romanzo scritto dall'irlandese Bram Stoker nel 1897, ispirato alla figura di Vlad III, principe di Valacchia. Nel romanzo, la trasformazione del conte da essere umano a vampiro, non viene mai menzionata, perciò resta avvolta nel mistero. In romanzi e film successivi, dedicati al personaggio, le origini di Dracula vengono rivelate, ma si hanno due versioni diverse:

  • ·         Il conte rinnegò Dio in seguito alla morte della moglie, e perciò venne punito
  • ·         Dracula strinse un patto col diavolo per ottenere la vita eterna; per mantenere quella vita, egli doveva nutrirsi di sangue umano

Nel romanzo si delineano alcuni degli elementi fondamentali che caratterizzano la figura del vampiro moderno. Uno di questi elementi è la necessità di dormire nella propria tomba, di fatti, nel romanzo, Dracula porta con sé delle casse piene di terra, in cui dovrà dormire. I poteri del conte sono ridotti di giorno, ma può comunque stare all’aperto (il vampiro moderno viene danneggiato dalla luce del sole, ma è un elemento che verrà introdotto successivamente). Nel romanzo si legge che per uccidere una di queste creature è necessario infilzare il cuore del non-morto con un paletto d’argento e poi decapitarlo, entrambi elementi che caratterizzano anche il vampiro moderno. Infine, l’ultimo elemento in comune con la figura moderna del vampiro, è la sua capacità di cambiare aspetto: all’inizio dell’opera, Dracula si presenta come un vecchio conte, mentre, nel corso della storia, egli si presenterà come un uomo giovane e attraente.

Ogni fan dei vampiri, a mio parere, dovrebbe leggere questo romanzo, nonché il racconto di Polidori, entrambi pietre miliari per la figura di questa creatura.

IL VAMPIRO MODERNO

In seguito al romanzo di Bram Stoker, vennero scritti numerosi altri romanzi e girati molteplici film su questa creatura, e la figura del vampiro si è evoluto. La versione moderna di questa creatura si presenta come un personaggio affascinante, con la pelle candida come la neve e le labbra rosso vivo. Al contatto, egli risulta essere freddo, a causa della mancanza di sangue in circolo, ed è in grado di nascondere le proprie imperfezioni per risultare più affascinante. Essendo una creatura demoniaca, il vampiro viene danneggiato dalla luce del sole, perciò, di giorno, dorme nella sua bara e si risveglia subito dopo il tramonto; se si espone alla luce del sole, la pelle della creatura inizia a bruciare (elemento forse ispirato alla malattia porfiria), lasciando profonde cicatrici. Come non-morto, necessita di nutrirsi di sangue umano per mantenere la sua non-vita e presenta una forza sovrumana. Il vampiro è allergico all'aglio, alla rosa canina (utili per tenerlo lontano), all'argento e al legno di frassino (per ucciderne uno è necessario trafiggerne il cuore con un paletto di uno di questi due materiali). Essendo una creatura del male, egli è respinto da simboli sacri e l'acqua santa, a contatto con la sua pelle, ha lo stesso effetto dell'acido. Come creatura demoniaca, si presenta come un corpo privo di anima, per questo è come se non esistesse nel mondo terreno e non può essere riflesso negli specchi o catturato in fotografie e pellicole. Infine, il vampiro non può entrare in una casa liberamente, ma deve essere invitato a farlo; questo perché la casa di una persona è piena di energia, derivante dai suoi abitanti, che funge da protezione contro energie maligne (in questo caso il vampiro). Se il proprietario di una casa, invita una di queste creature a entrare, è come se abbassasse la barriera protettiva, che quindi non può svolgere il proprio ruolo protettivo.    

Trovo queste creature molto affascinanti, ma mi pongo sempre una domanda: diventare un vampiro è una cosa positiva o una maledizione?

Valentina

venerdì 28 aprile 2017

La magia della luna


Il  satellite del nostro pianeta è molto importante per le arti magiche. La sua influenza sulla Terra è enorme: influenza le maree, i raccolti e determinate funzioni fisiologiche. Essa è associata alla femminilità, ma anche ad altri valori, come la spiritualità, i sogni, la protezione e la guarigione. La durata complessiva del ciclo lunare è di circa 29 giorni e attraversa quattro fasi, e ogni fase ha proprietà diverse:

LUNA NUOVA

Si tratta dello stadio in cui la luna non è visibile dalla terra e, secondo gli antichi, in questa fase, essa moriva per rinascere dopo tre giorni con un nuovo ciclo. La luna nuova è molto potente e si deve porre attenzione, nel caso in cui si voglia sfruttare questa potenza per rituali magici, alle operazioni che si compiono, avendo ben chiare le proprie intenzioni. È la fase perfetta per concludere progetti, ma è anche la fase della rinascita, adatta, quindi, all’introduzione di novità.

LUNA CRESCENTE

 È la fase di passaggio tra novilunio e plenilunio ed è un periodo legato alla crescita e alle novità. E’ perfetta per stringere legami e patti, iniziare progetti e attività, e tutto ciò che riguarda l’accrescimento. Per quanto riguarda le arti magiche, è il periodo adatto per riti e incantesimi di attrazione, creazione, ispirazione e produzione.




LUNA PIENA

La notte di luna piena è la più magica  e l’energia che ne deriva può essere usata per diversi scopi, come amore, conoscenza, protezione, prosperità e divinazione. Questa fase è la più adatta per intraprendere studi, confermare desideri e propositi, cogliere i frutti di lavori e progetti. Alla luna piena è dedicata una festività neopagana detta Esbat.

LUNA CALANTE




La luna calante è legata alla dissoluzione ed è la più adatta per porre fine ad abitudini o relazioni, e per quanto riguarda i rituali si presta per lo svolgimento di incantesimi per rimuovere, scacciare o liberare.






Valentina

Gorillaz - Humanz: recensione






Valutazione: 3½ su 5



I Gorillaz di Damon Albarn tornano dopo sette anni di inattività (durante i quali in realtà Albarn si è dedicato a diversi di progetti paralleli, arrivando a pubblicare una miriade di album dalle soundtrack Dr Dee e wonder.land, a The Magic Whip dei Blur ed Everyday Robots come solista), rilasciando Humanz, un album che ben poco ha da aggiungere ai precedenti.
Iniziamo subito col dire che Humanz non è un brutto album, anzi ancora una volta Albarn si dimostra superiore al piattume che avanza inesorabilmente in ambito artistico e specialmente musicale degli ultimi dieci anni, aggiungendo un nuovo e ricco lavoro al suo lungo repertorio quasi trentennale. Il nuovo disco dei Gorillaz è un disco variopinto ma uniforme, freschissimo ma dalle sonorità vintage, nuovo ma fedele. La varietà di questa raccolta di venti tracce (ventisei per la versione deluxe) può essere associata alla varietà di Plastic Beach, risultando coerente nell'opera di modernizzazione di stile e suoni iniziata appunto nel 2010. Come sempre può vantare di una varietà non irrilevante di "ospiti", tra cui vecchi maestri come De La Soul, o stelle nate da poco come Benjamin Clementine o D.R.A.M..


Dopo una intro di qualche secondo, la traccia di apertura è Ascension, una canzone hip hop cantata dal giovanissimo Vince Staples: un pezzo convincente, che scorre in modo del tutto giocoso nei suoi brevi ma validi due minuti e mezzo. Dopo l'orecchiabile Strobelite c'è il primo singolo rilasciato dalla band per promuovere l'album: Saturn Barz, e diciamo che Albarn e il jamaicano Popcaan avrebbero potuto fare molto di meglio: appetibile per un vasto pubblico (d'altronde i Gorillaz non hanno mai avuto la "presunzione" di spacciarsi per un gruppo di nicchia), ma forse troppo. La base misteriosa è ricca di piccoli suoni che la rendono interessante; tuttavia l'autotune suona a tratti irriverente e scialbo (sinceramente ho in mente davvero pochi casi in cui l' autotune sia stato utilizzato non in modo buono, ma almeno in modo che non rovini la canzone), e fa storcere un po’ il naso, lasciando l'amaro in bocca. Tralasciata questa e il quasi insignificante rap di Let Me Out, ci sono comunque molti punti eccellenti, come la cavalcata house funkeggiante di Strobelite, la piacevole atmosfera synth di Andromeda, o il ritmo malinconico di Sex Murder Party. Ciò che c’è di incredibile in Albarn è che riesca sempre a coprire decine di generi musicali diversi, fondendoli insieme, ma senza mai risultare barocco o arrogante, e questo è uno dei punti di maggiore forza dell’album; infatti si hanno tracce praticamente antitetiche come Momentz con la sua energica carica house, e Hallelujah Money che è invece sorretta dalla pacatezza vellutata gospel della voce di Clementine.


Purtroppo, però, l’album manca di ciò che caratterizzava tutti gli album precedenti (fatta eccezione di The Fall, che personalmente escluderei dalla lista degli album dei Gorillaz, in quanto sembra un lavoro a metà, anzi addirittura solo abbozzato): delle melodie davvero memorabili. Chiunque avrà canticchiato almeno una volta nella propria vita lavori colossali come Clint Eastwood o Feel Good Inc o anche Stylo, o almeno le avrà sentite trasmesse in tv o in radio centinaia di volte, fino quasi alla nausea, proprio dovutamente alle loro melodie e composizioni strettamente catchy (permettetemi questo inglesismo). Con questo non intendo dire che non sia un album assolutamente piacevole e scorrevole da ascoltare, ma sicuramente non ha canzoni che verranno ricordate da qui a cinque o dieci anni; alcune tra le tracce migliori, tra l’altro, come The Apprentice con la voce di Rag’n’bone man o Out of Body cantata da Kilo Kish, si trovano nel secondo disco, disponibile solo con l’aquisto della versione deluxe dell'album, il che le rende più difficilmente raggiungibili (ovviamente in un’epoca in cui l’informazione è alla portata di tutti, chiunque può ottenerle, ma in genere la pigrizia umana diffusa vince su qualsiasi pulsione della curiosità verso la cultura). Si può notare, quindi, come si abbia preferito concentrarsi sulla positiva e dirompente freschezza dei suoni, a discapito però dell’orecchiabilità e dell’originalità. 


Insomma un lavoro discreto e apprezzabile che ha i propri punti di forza, ma che non sono sufficienti da pensare anche solo lontanamente di raggiungere le meravigliose vette di Demon Days.


                                                                                        -Niccolò

giovedì 27 aprile 2017

Wicca: stregoneria o religione?




Il primo argomento di spiritualità di cui vorrei parlare è la religione Wicca, culto molto conosciuto, anche se per i motivi sbagliati. Sentendo il termine “Wicca” molte persone pensano alla vecchia strega vestita di nero, gobba e senza denti, che passa le giornate chiusa in una capanna in cui l’unica fonte luminosa sono le pozioni fosforescenti dagli effetti misteriosi che invadono ogni angolo dell’edificio. Perciò, la prima cosa che voglio sottolineare è la differenza tra Wicca e stregoneria:
  • ·         La stregoneria è la magia usata da una strega per manipolare l’energia dell’universo e raggiungere i suoi obiettivi.
  • ·         La Wicca è una religione neopagana che si basa sulle credenze e sulle pratiche precristiane, sul culto della terra e su tradizioni derivanti dalla magia cerimoniale. L’uso della magia non è indispensabile per appartenere a questo culto: molti si limitano a venerare il ciclo delle stagioni, la luna e gli dei.

Dopo aver chiarito questa differenza fondamentale, possiamo passare alla teologia di questa religione.

LA TEOLOGIA

Il culto Wicca si basa sulla credenza che il potere creativo dell’universo derivi dall’interazione tra maschile (il Dio, rappresentato come il Dio cornuto) e femminile (la Dea, considerata triplice e legata sia alla terra, sia alla luna). Nessuna di queste due entità prevale sull’altra, perché esse sono complementari e il potere che deriva dalla loro interconnessione, è presente in tutti gli esseri viventi, manifestandosi attraverso l’interazione tra elemento maschile e elemento femminile. Tuttavia, il Dio e la Dea ,successivamente, sono divenute astrazioni e non rappresentano gli aspetti universali delle divinità adorate da tutti i praticanti. Ogni gruppo, o singolo praticante, deve trovare le proprie divinità protettrici, attraverso la meditazione (le divinità possono derivare da qualsiasi pantheon).
Le tradizioni più recenti vedono il Dio e la Dea come aspetti del Dryghten, ovvero la sorgente di energia primordiale, che costituisce tutto ciò che esiste, organizzandosi in materia.
La Dea

La triplicità della Dea si manifesta nelle forme della fanciulla, della madre, e dell’anziana, che rappresentano la ciclicità dell’universo e sono legate alle fasi principali della luna (luna crescente, luna piena e luna calante). La triplicità della Dea è anche legata alla ciclicità dell’esistenza, caratterizzata dalla nascita, dalla crescita e dalla morte. Dopo la morte, segue l’inizio di una nuova vita, come dopo la luna calante segue un nuovo ciclo lunare.
Il Dio

Il Dio cornuto, nato dalla fusione di più divinità pagane antiche accomunate dall’associazione con la natura, non ha nulla a che vedere con l’immagine del diavolo introdotta dal cristianesimo. Egli è allo stesso tempo figlio e compagno della Dea e in esso convivono due aspetti: la bellezza del sole, l’amore, la pace e la vita, ma anche la notte, la forza e la morte.
I cinque elementi
I cinque elementi (fuoco, acqua terra, aria e etere) sono un altro elemento fondamentale della religione Wicca. Ogni elemento è associato ad un simbolo e ad un significato:
·         Fuoco: il suo simbolo è il triangolo rivolto verso l’alto ed è associato alla passione e all’energia.
·         Acqua: il simbolo associato a questo elemento è il triangolo rivolto verso il basso e richiama le emozioni e l’intuito.
·         Terra: il simbolo è il quadrato e viene associato alla forza e alla saggezza.
·         Aria:  Il simbolo ad esso associato è il cerchio ed è legato all’intelletto e all’ispirazione.
·         Etere: anche detto Akasha, non ha una vera e propria rappresentazione, perché rappresenta l’energia pura. Esso è associato allo spirito
Gli elementi sono fondamentali per i riti, poiché ad ogni elemento è abbinato un guardiano o Torre di Guardia. I guardiani sono gli spiriti patroni degli elementi, che catalizzano l'energia del cosmo, chiamati a vegliare sul rito a difesa dell'operazione.

Valentina

Click Click - Those Nervous Surgeons, Recensione






Click Click - Those Nervous Surgeons

 

Valutazione: 4½ su 5

 
I click click sono una band sconosciuta oggi, poco più che negli 80, quando è stata fondata. Purtroppo è rimasta sconosciuta anche tra i palati raffinati dell’underground, dove imperversava l’industrial degli Skinny Puppy, degli Einsturzende Neubauten e dei Coil, dovutamente al fatto che, a differenza dei loro commilitoni più noti, non abbiano sfruttato l’onda di nascita dell’industrial e non abbiano tirato fuori tracce che alla brutalità unissero la melodia (cosa che invece a Front Line Assembly e a KMFDM ha portato un discreto successo, almeno nell’underground), ma si sono limitati a macinare, incastrare e raffinare solo i suoni che volevano, nell’esatto momento in cui intendevano farlo, incondizionatamente. Perciò, dopo tre album principali (e qualche lavoro secondario) che sono passati piuttosto inosservati (fatta forse eccezione per Rorschac Testing, che ironicamente è forse anche il più scarno, ma almeno il più orecchiabile), si sono sciolti e sono finiti nel dimenticatoio. Quindi purtroppo non molte persone (amanti dell’industrial o non) hanno avuto in passato o hanno oggi il piacere di poter ascoltare la magnifica suite meccanica di Skripglow, non perché sia irreperibile, ma perché nessuno la conosce, e nel mondo della musica, purtroppo, funzionano e impattano più il passa-parola e la pubblicità che il valore artistico. Dopo anni di rottura e piccoli lavoretti sporadici, sono tornati nel 2014 con Those Nervous Surgeons. Qualcuno davvero aspettava con ansia un nuovo album dei Click Click? Beh magari qualcuno sì, ma di certo nessuno avrebbe potuto pensare che sarebbe stato un lavoro anche solo minimamente ai livelli di opere magistrali come party hate o bent massive. Invece lo è egregiamente. I Click Click non hanno mai avuto un’epoca di splendore, ma per lo meno i loro surreali e psichedelici suoni meccanicamente cupi potevano avere una buona locazione nell’underground anni 80. Oggi tali suoni potrebbero essere ritrovati al massimo come manufatti di un’antica civiltà ormai estinta. Il ricordo di tale civiltà al giorno d’oggi può essere solamente perpetrato tramite il ricordo di qualche vecchio alternativo, oggi nostalgico; oppure, in alternativa, qualche archeologo novizio potrebbe esplorare gli ormai freddi e desolati corridoi di spettacolari edifici architettonici, riuscendo solo lontanamente a immaginare, con uno sforzo della fantasia, quanto un tempo quelle opere possano essere state immensamente splendenti e ricche di vitalità.
Eppure la civiltà che abitava quelle rovine non è stata del tutto spazzata via da una traslazione di moda e costumi accompagnata da una modernità sempre più stucchevole, e i Click Click ce lo dimostrano.

Fin dalla copertina, Those Nervous Surgeons vuole dare già l’idea di uno strano e non facile album di nicchia: in uno pseudo fumetto, un chirurgo tenta eseguire quella che è forse la sua prima operazione, rallentato da un’ansia da prestazione, tipica di un principiante. Come finirà l’operazione? Non si sa, nemmeno dopo aver ascoltato l’album. Ma forse questa incertezza sul risultato è da traslarsi metaforicamente come l’incertezza di un ascoltatore che si imbatte nel nuovo album dei Click Click; perciò l’unica cosa che ha senso fare è aspettare che i Click aprano l’addome dell’ormai vecchia e malandata musica industriale e vedere se l’operazione avrà successo.

Those Nervous Surgeons si apre con Passenger: una intro (o forse no, dato che dura ben 4 minuti e 40 secondi) dark ambient sorretta da un’oscura melodia che già presagisce quale sarà l’atmosfera dell’album. Questa prima traccia serve già da spartiacque: l’amante del dark si ritroverà inevitabilmente attratto dalla traccia, mentre il disattento e/o occasionale ascoltatore di musica leggera avrà già compreso quanto non faccia per lui. Finita Passenger si apre di getto Man In a Suit, con batteria e basso che senza preavviso sparano un accattivante ritmo incalzante, che travolge, come un aratro, la misteriosa bruma depositatasi sul campo durante la traccia precedente. Subito ci si può accorgere di quanto i suoni siano inaspettatamente moderni e freschi. La voce di Adrian Smith si inserisce improvvisamente in modo prepotente e letale, ma sinuoso e assolutamente piacevole, magnifica, sorreggendo la musica non disgregandola. Con questa traccia (la prima completa) i Click Click mettono subito in chiaro le cose: vogliono riaffermarsi mantenendo il loro vecchio stile e il loro charme, ma lo vogliono fare in modo originale, innovativo e moderno, riuscendo imprescindibilmente a stupire e incantare i fan di vecchia data, come i nuovi arrivati; senza però contaminarsi sfoggiando ridicole ghirlande di esagerata modernità (espediente al giorno d’oggi orribilmente usato da centinaia di band di vecchia data), che li renderebbero, alle orecchie degli ascoltatori, dei vecchi che insultandosi giocano a video games di ultima generazione come ragazzini: uno spettacolo carico in egual modo di comicità e compassione, ossia patetico.

Dopodiché c’è Lock Them Up: una delle canzoni più riuscite dell’album. Una strega stupenda e fatale muove sinuosamente le mani nell’aria nella sua buia grotta, compiendo gesti arcani ma incantevoli, mentre ; dalle sue dita scaturiscono colorate scie che si librano nell’aria per poi svanire. Così meravigliosamente Lock Them Up libera un irresistibile ritmo trip-hop psichedelico che invade l’ascoltatore di autentico piacere. Le tastiere prendono poi il compito di manager, governando la canzone con la loro misteriosa (e sempre accattivante) melodia. La cadenza è funebre. Più si ascolta la traccia e più sembra di sprofondare in oscuri abisi infernali, senza possibilità di fuga. La struttura non è propriamente tipica: vi è una strofa e poi vi è quello che potrebbe essere un altamente melodico (i Click Click stupiscono sempre più ogni secondo che passa) ritornello, il quale chiude perfettamente un cerchio musicale, fornendo più da ponte e da condimento, che come portata principale all’interno del buffet offerto interamente dalla canzone.

Rats In My Bed (Version) è una nuova versione di una loro omonima traccia che era apparsa su qualche altro recente ep. In confronto a come appare altrove, questa “Version” è molto più potente e musicalmente ricca che nelle altre versioni. E’ quasi acida, rumorosa e molto rapida: un puro industrial rock, ma altamente raffinato. I suoni risultano perfettamente stratificati e concatenati tra loro, a partire dalla batteria che suona imperterrita come una mitragliatrice silenziata, fino alle epiche quanto misteriose tastiere, fino alla riverberata voce di Smith, sempre stupenda. Dopo la paradisiaca Lock Them Up, qualsiasi cosa sarebbe stato scadente. Invece Rats In My Bed è come se risvegliasse l’ascoltatore dal sogno, per buttarlo in qualcosa di più pragmatico e brutale, ma non meno intrigante.

Con Factory le impetuose acque scure scatenatesi con Rats In My Bed, si placano un po’, pur rimanendo sempre e comunque nere come la pece. La viscosità di questo liquido nero che lentamente ingloba tutto, è disarmante, e in Factory si percepisce ancor di più il suo peso. La traccia musicale suona come un ambient/drone. Nellae nere acque viscose si intravedono delle mostruosità che a fatica si trascinano attraverso questo liquido, venendo un po’ trasportate ogni volta. Così Factory sforna macabre sonorità che cercano un po’ di uscire dal monotono drone che le avvolge, un po’ spiccando, un po’ lasciandosi trasportare dal fluido e impacciato movimento. La voce di Smith suona in sottofondo come un lamento senza speranza. L’ascoltatore non può fare altro che lasciarsi trasportare.

Factory si affievolisce per lasciare spazio a un altro macigno dell’album: What Do You Want. Una grancassa distorta apre la canzone, suonando pesante in uno spazio vuoto. Sempre più suoni meccanici da industria si aggiungono alla stratificazione, fino a che tutto non si dirada, lasciando spazio a una melodia irresistibile, mentre Smith canta “What do you want? what do you need? What have you learned? What have you seen?” urlando in modo volutamente harsh, sempre riecheggiando; come se Smith stesse, in preda a schizofrenia, urlando verso qualcosa o qualcuno che solo lui riesce a vedere, nella sua solitudine. Una canzone complotti sta molto orecchiabile quanto complessa, che sembra prima voler abbracciare l’ascoltatore, per poi pugnalarlo alle spalle mano a mano che nuovi, freschi e accattivanti suoni si aggiungono. Tutto è curato al dettaglio: i suoni entrano ed escono, passano e copulano in modo rapido ma intenso; se ne vanno soddisfatti pur mantenendo un aroma di vergine impresso. In questo magnifico mosaico, nessun elemento lascia l’ascoltatore a bocca asciutta, proprio come nulla lo affoga. Non appena il mantra “All seeying eye feed us with your light…” si apre, l’ascoltatore cade inesorabilmente in una psichedelica spirale recessiva e qui la realtà è frammista al delirio. Come se Smith riuscisse cantando a trascinare il pubblico nella sua follia schizofrenica. Il cantante però sembra esserci per lo meno abituato mentre lo spettatore si ritrova in un naufragio che termina, alla fine della canzone, con un disperato arrivo, ormai praticamente privo di sensi, su una spiaggia deserta.

Tutto in questo album suona pesante, cupo e letale, come se presagisse qualche fine incombente, trascinando l’ascoltatore nelle profondità di una viscosa melma nera che sembra avvolgere, in modo minaccioso ma piacevole, l’animo dell’ascoltatore.
Le altre tracce non aggiungono nulla all’album, ma si limitano continuamente a condire l’atmosfera già oltremodo cupa che regna, che si conclude perfettamente con la finale, epica, mostruosa e funebre Keep Us out of the Way.
La matassa di Those Nervous Surgeons si dipana piacevolmente in modo leggiadro ma deciso, composto ma genialmente sregolato, oscuro ma avvolgente, sensuale e confortevole ma mostruoso e buio. Il chirurgo ha perciò concluso con successo l’operazione, dimostrando di essere un professionista, nonostante l’insicurezza iniziale.
In definitiva Those Nervous Surgeons appare un po’ come un manufatto realizzato da una tribù di indiani d’America: un lavoro sofisticato, elaborato e ricco: inutile dire che sia perfettamente riuscito, dal momento che trasudi arte e arcano da ogni ghirigoro, ma è realizzato da individui che ormai non sono altro che dei leggendari residui di un antica civiltà e ne sono fieri.

                                                                                                         - Niccolò

Presentazione del blog

Salve a tutti, siamo due ragazzi, Valentina e Niccolò, e amiamo parlare e discutere delle nostre passioni e avere scambi di idee a riguardo. In questo blog pubblicheremo articoli sugli argomenti più disparati, dalla spiritualità, alla musica alle teorie psicologiche. Spero che voi lettori apprezzerete ciò che scriveremo e che potrete trovare interessante ciò di cui parleremo, almeno quanto lo è per noi.

Valentina e Niccolò